sabato 26 maggio 2012

Poeti....razza benedetta!

SERGEJ ESENIN - Confessioni di un teppista
 
Non a tutti è dato cantare,
E non tutti possono cadere come una mela
Sui piedi degli altri.
Questa è la più grande confessione,
Che mai teppista possa rivelarvi.
Io porto a bella posta la testa spettinata,
Lume a petrolio sopra le mie spalle.
Mi piace illuminare nelle tenebre
L'autunno spoglio delle vostre anime.
E mi piace quando una sassaiola di insulti
Mi vola contro, come grandine di rutilante bufera,
Solo allora stringo più forte tra le mani
La bolla tremula dei miei capelli.
È così dolce allora ricordare
Lo stagno erboso e il suono rauco dell'ontano,
Che da qualche parte vivono per me padre e madre,
Che se ne fregano di tutti i miei versi,
E che a loro sono caro come il campo e la carne,
Come la pioggia fina che rende morbido il grano verde a primavera.
Con le loro forche verrebbero a infilzarvi
Per ogni vostro grido scagliato contro di me.
Miei poveri, poveri contadini!
Voi, di sicuro, siete diventati brutti,
E temete ancora Dio e le viscere delle paludi.
O, almeno se poteste comprendere,
Che vostro figlio in Russia
È il più grande tra i poeti!
Non vi si raggelava il cuore per lui,
Quando le gambe nude
Immergeva nelle pozzanghere autunnali?
Ora egli porta il cilindro
E calza scarpe di vernice.
Ma vive in lui ancora la bramosia
Del monello di campagna.
Ad ogni mucca sull'insegna di macelleria
Da lontano fa un inchino.
E incontrando i cocchieri in piazza,
ricorda l'odore del letame dei campi nativi,
Ed è pronto a reggere la coda d'ogni cavallo,
come fosse uno strascico nuziale.
Amo la patria!
Amo molto la patria!
Anche con la sua tristezza di salice rugginoso.
Adoro i grugni infangati dei maiali
E nel silenzio della notte, la voce limpida dei rospi.
Sono teneramente malato di ricordi infantili,
Sogno delle sere d'aprile la nebbia e l'umido.
Come per scaldarsi alle fiamme del tramonto
S'è accoccolato il nostro acero.
Ah, salendo sui suoi rami quante uova,
Dai nidi ho rubato alle cornacchie!
È lo stesso d'un tempo, con la verde cima?
È sempre forte la sua corteccia come prima?
E tu, mio amato,
Mio fedele cane pezzato?!
La vecchiaia ti ha reso rauco e cieco
Vai per il cortile trascinando la coda penzolante,
E non senti più a fiuto dove sono portone e stalla.
O come mi è cara quella birichinata,
Quando si rubava una crosta di pane alla mamma,
e a turno la mordevamo senza disgusto alcuno.
Io sono sempre lo stesso.
Con lo stesso cuore.
Simili a fiordalisi nella segale fioriscono gli occhi nel viso.
Srotolando stuoie d'oro di versi,
Vorrei dirvi qualcosa di tenero.
Buona notte!
A voi tutti buona notte!
Più non tintinna nell'erba la falce dell'aurora...
Oggi avrei una gran voglia di pisciare
Dalla mia finestra sulla luna.
Una luce blu, una luce così blu!
In così tanto blu anche morire non dispiace.
Non m'importa, se ho l'aria d'un cinico
Che si è appeso una lanterna al sedere!
Mio buon vecchio e sfinito Pegaso,
M'occorre davvero il tuo trotto morbido?
Io sono venuto come un maestro severo,
A cantare e celebrare i topi.
Come un agosto, la mia testa,
Versa vino di capelli in tempesta.
Voglio essere una gialla velatura
Verso il paese per cui navighiamo. 
 
 

lunedì 9 aprile 2012

Gemellaggio

Quando ogni luce è spenta
e non vedo che i miei pensieri,

un'Eva mi mette sugli occhi
la tela dei paradisi perduti.


Giuseppe Ungaretti

martedì 6 marzo 2012

Mamme...

Mi capita, mentre in macchina aspetto l'uscita dei nipotini dall'asilo, di osservare giovani mamme che passeggiano nei pressi del cancello ancora chiuso. Alcune sorridenti, consapevoli di quel ruolo che non significa soltanto essere genitore, ma tappa importante della propria esistenza, dove ogni giorno è un tempo nuovo che allontana dal passato, tempo vecchio che non rimpiangono, vivendo con soddisfazione quello presente. Su altri volti invece, leggo stanchezza, e una tristezza indefinita che comprende forse, la fine di un sogno tanto atteso che le difficoltà della vita, hanno trasformato in monotona routine, togliendole gusto e senso della sorpresa che dà gioia. Tornando a casa, mi porto sempre un pò di quegli occhi malinconici, magari il mio è solo un pensiero arbitrario, e sotto quel velo invece, può esserci una felicità soltanto nascosta agli altri, ma un pò di pena mi resta.

lunedì 27 febbraio 2012

VINCERE !!.... ma è finita male...

FINALMENTE UN GIORNALE PROVA AD INFORMARE, E A DENUNCIARE L'IPOCRISIA DI UNO STATO, DIVENTATO BISCAZZIERE DEI PROPRI CITTADINI: Ragazzi, altro che casino, questo è un casinò...

| Dal quotidiano - AVVENIRE- del 25.02.2012

Non chiamatelo più gioco. Il gioco è una festa, una gioia, è spontaneità, fantasia e libertà: guardate gli occhi di un bambino mentre gioca. Questa invece è una maledizione, una dannata febbre, persino una schiavitù. Dicono le statistiche che fra bingo, gratta–e–vinci, superenalotto, slot machine, blackjack, poker online, e scommesse su tutto, ci siamo rincretiniti, ci stiamo giocando il cervello, incantati dalla micidiale furbizia di quelli che ci svuotano le tasche. Nei “giochi di sorte” c’è un punto di fuga dove il playing diventa gambling, l’uomo non è più neanche un giocatore, ma un giocattolo; per il divertimento (serissimo) di chi regge il gioco per far soldi e spennare.

Nel 2009 la “raccolta” (la chiamano così questa attività succhiasoldi) è stata di 54,4 miliardi, nel 2010 è aumentata a 61,4 miliardi, nel 2012 è schizzata a 80 miliardi. Ma la crisi? La crisi è una doppia tragedia, la crisi è una spinta ulteriore che spinge a tentare la sorte improbabile, ingrassando il banco. Il gettito fiscale sul gioco d’azzardo è una tassa sui poveri. È difficile dire se il <+corsivo>gamblig<+tondo> sia più un intrattenimento, o invece una epidemia sociale. Una recente ricerca ha addirittura stimato che vi sono coinvolti, in qualche forma, più di 30 milioni di italiani.

Una pubblicità invasiva li seduce. Le associazioni dei consumatori hanno protestato contro lo spot che invoglia a giocare perché «vincere è semplice», menzogna per il Codice di autodisciplina della Comunicazione commerciale. L’avvertenza posticcia, sussurrata in fretta, di «giocare responsabilmente», è farisaica se non schizofrenica. Simili messaggi, che rasentano la figura del “doppio legame” noto agli psichiatri, piovono in un Paese in cui almeno 800mila persone secondo le stime accreditate (Cnr di Pisa), sono piombate col gioco in una patologia che rovina la vita.

Quel demone compulsivo che una grande letteratura (Dostoevskij) ci illustrò nel passato è ora catalogato dalla scienza fra i disturbi mentali. Una “dipendenza” la cui soglia di eccitazione costringe ad alzare la posta puntata, fino a svenarsi. Fino a indebitarsi, fino a supplicare aiuto da strozzini prestasoldi. Per portarli ai mangiasoldi. Da un cappio all’altro.

Un Convegno ieri a Genova ha fatto il punto, a dieci anni dal primo lancinante grido d’allarme pubblico in quella stessa città, sulle vittime dell’usura e delle vittime del gioco. Somiglianza di rovina, intreccio di disperazione. Il cardinale Bagnasco ha detto con fermezza che è emergenza sociale, e che una pubblicità mendace, delittuosa, uccide il corretto modo di pensare e di agire. Il nostro pensiero corre a una iniziativa che il Monopolio di Stato (Aams) chiama «educativa», perché vuole entrare nelle scuole a insegnare ai giovani come si fa a giocare «responsabilmente» (nell’opuscolo, ci sarebbe anche la frase «chi non gioca è un integerrimo bacchettone»). Raffinata sciocchezza: si previene o si corrompe? L’obliquo messaggio pro–gioco, con questi chiari di luna, ci indigna.

Si insegni a “non” azzardare, si insegni che il mondo di questi giochi è in larga parte in mano a fuorilegge, che i siti online da rimuovere per decreto sono la bellezza di 3.386. Anzi, la sconcezza di 3.386. Si insegni, cacciati fuori i persuasori soffici del “giocare è bello”, che la sconcezza grande non è neanche nell’essere fuorilegge (cioè senza concessione), ma nel gioco d’azzardo in sé, perché i concessionari con lo stemma di legge fanno la stessa cosa che fanno gli altri, cioè rovinano la gente. Perché l’ago della bilancia, signori del Monopolio, non è il timbro della bisca, da maledire il tavolo quando non c’è, e benedire l’identico tavolo quando lo Stato ha timbrato il proprio lucro e l’identica nostra sciagura.

Giuseppe Anzani

Mi occupo di problemi alcolcorrelati, o più semplicemente di abuso di alcol: POSSIBILE che politici o tecnici, NON capiscano che questa dipendenza è la strada tutta in discesa, che porta alla dipendenza dall'alcol, o alle sostanze stupefacenti, senza tener conto delle migliaia di famiglie distrutte???
Ma già, dimenticavo, il pareggio di bilancio è la sola cosa che conta, L'UOMO può aspettare.

venerdì 3 febbraio 2012

Ci salveranno i TIR?

Nel film "Il giorno della civetta", Leonardo Sciascia fa dire ad uno dei personaggi che: "Al mondo ci sono gli uomini, gli omenicchi, e i quaquaraqua!"
Assistendo all'ultima commedia all'italiana interpreti Monti, Fornero & Soci, e i figuranti generici Bersani & Company, ho la triste certezza che la maggioranza di noi Italiani, appartengano alla categoria dei QUAQUARAQUA!
p.s. ho voglia di una sigaretta, di cioccolato fondente, e di mandare un grosso VAFFA a tutti gli interpreti della commedia!

giovedì 12 gennaio 2012

Precari over 40... (ma non è mio)

LO TROVO SUL WEB E LO POSTO VOLENTIERI:


12 novembre 2011
Siamo precari/e over40 e non siamo ancora morti!
By Malafemmina

Da Meno&Pausa:

Siamo della generazione che ha visto l’inizio della fine della stabilità lavorativa. Over40, 45, 50, precari e precarie e invisibili. Totalmente dimenticati/e perché si parla di giovani e a loro giustamente viene dedicata grande attenzione ma noi siamo destinati all’immondezzaio, perché non c’è alcun provvedimento che ci tuteli.

Abbiamo vissuto, studiato, lavorato, abbiamo anche avuto brevi stagioni di lavoro stabile, poi di colpo siamo stati licenziati o semplicemente ai contratti precari non sono succedute altre opportunità.

Dopo i 40 siamo già considerati morti, noi che non rientriamo nei contratti di apprendistato, che non avremo mai una pensione, che non abbiamo alcun destino davanti a noi salvo la povertà e la strada.

Dopo anni di lavoro siamo stati sbattuti fuori da aziende che hanno delocalizzato. Dopo anni di lavoro precario non è seguita alcuna stabilizzazione. E’ sempre più difficile trovare qualunque tipo di contratto. Dopo anni di ricerca torniamo ad essere più dipendenti di prima da partner, genitori, altri.

Non abbiamo casa o se ne abbiamo una non riusciamo a pagare né l’affitto né il mutuo. Viviamo spesso grazie alla pensione minima di una madre o di un padre. Viviamo stretti in situazioni di grave dipendenza, con famiglie a carico o anche senza, uomini e donne senza alcuna speranza perché non c’è nulla che dica che domani per noi sarà diverso.

Che si abbia una laurea o no abbiamo comunque un curriculum pieno di cose già fatte ma non contano nulla e se siamo donne le possibilità si allontanano ancora di più e allora si prefigura un destino deprimente in cui qualcuna tenta il suicidio, altre si deprimono, altre ancora tentano di reagire ma non sanno come fare.

Uomini e donne sono vittime di una situazione tragica e non hanno ascolto. Finiscono ad elemosinare lavori di qualunque tipo dove comunque si pretende di assumere qualcuno che abbia un’età inferiore.

Dai 40 in su è morte sociale senza alternativa. Siamo persone che hanno pagato già un prezzo per ogni scelta e che hanno energia e rabbia e competenza ma non abbiamo voce e siamo stanchi/e. Siamo sfiniti/e. E non vogliamo scendere in competizione con chi è più giovane sottraendo loro posti di lavoro che possono servire a dare una opportunità. Ma è la competizione selvaggia che il mercato ci impone e invece noi vogliamo scendere in piazza insieme. Tutti e tutte, di qualunque età, perché il problema non può essere visto senza superare barriere generazionali fatte apposta per metterci gli uni contro le altre.

Le persone della nostra generazione non hanno voce e non sanno prenderla. Abbiamo genitori che possono lasciarci da un momento all’altro e andati via loro non sappiamo come fare. Abbiamo partner che non ce la fanno più a sostenerci. Abbiamo sogni che non ci sentiamo in diritto di perseguire.

Siamo quelli/e che usavano le bombole del gas, lo scaldabagno, il giradischi e le musicassette. Siamo quelli/e che hanno visto nascere lo scempio culturale delle tv libere. Siamo quelli/e che hanno assistito impotenti al cambiamento di leggi che ci avrebbero portato a tutto questo. Siamo passato, presente e non abbiamo futuro. Abbiamo storia e ci sentiamo clandestini/e.

Non abbiamo diritti ma solo doveri. Tanti/e tra noi sono perseguitati da ispettori giudiziari, abbiamo debiti, siamo sfrattati, siamo stati derubati del poco che avevamo e siamo perseguitati dalle banche. Non ci è concesso recuperare e rappresentiamo solo un ostacolo per chi vuole spacciare l’immagine di una nazione che non ha prodotto vittime.

Noi siamo vittime, siamo cadaveri sociali che vengono sepolti sotto metri e metri di bugie e censura. Siamo quelli/e che non possono parlare perchè non hanno soldi neppure per una connessione internet. Siamo quelli/e che non vengono invitati/e a parlare in nessun posto perché la nostra immagine non concilia neppure con l’idea che si ha di chi è precario/a.

Siamo over40 senza futuro e non siamo ancora morti/e.

Mi pare che la favoletta della "solidarieta generazionale" trovi in questo post, il suo AMEN.